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01 ottobre 2019

L’ Arcivescovo di Milano allo IEO: “Condivido il dolore profondo dei malati, ma anche la fatica di chi li cura”
E annuncia una lettera ai medici per esprimere la sua solidarietà

arcivescovoMilano, 1 ottobre 2019 - “Il bisogno di capire e supportare l’evoluzione del rapporto medico-paziente e la necessità di condividere al suo interno anche le domande ultime sulla vita, sono il mio contributo alla celebrazione dei 25 anni dello IEO. La professione medica affronta oggi problematiche complesse: scriverò una lettera per esprimere la mia solidarietà”. Il Mons. Mario Delpini, Arcivescovo della Diocesi di Milano, riassume in queste parole il suo messaggio per il venticinquesimo anniversario dell’Istituto Europeo di Oncologia.

«Il medico, in particolare allo IEO, svolge un lavoro faticoso e inquietante - ha spiegato Delpini - Il primo motivo di inquietudine è la difficoltà a livello umano: sarò capace di farmi carico della persona malata nella sua globalità? Il secondo motivo è di tipo “amministrativo”: il sistema sanitario italiano potrà continuare ad essere eccellente e allo stesso tempo accessibile per tutti? Avrò le risorse per continuare a curare i miei malati ai massimi standard possibili?
Il rapporto medico-paziente, già difficile in sé, negli ultimi anni si è complicato perché entrambe le figure, di chi dà e chi riceve la cura, si sono ridisegnate. Il paziente vive in un contesto in cui il desiderio di essere guarito si trasforma in pretesa, il bisogno di essere informato in sospetto di essere ingannato, la paura della diagnosi in aggressività.

Anche la figura del medico si è ridisegnata. La domanda di specializzazione estrema lo induce a perdere di vista la dimensione olistica del malato, le esigenze organizzative lo portano a quantificare gli interventi in un’ottica di efficienza, la sua formazione si riduce a un insieme di competenze e conoscenze, in cui la dimensione umana è un ‘appendice, quando c’è.
Che fare? Non è sufficiente fare appello alla buona volontà o ai sentimenti del singolo operatore. L’attenzione alla dimensione umana deve essere sistemica: bisogna intervenire sull’intero sistema di cura dell‘ospedale perché sia orientato a favorire l’interazione medico-paziente in quanto persone. Come fare? È necessario inserire nel sistema-ospedale delle figure che si dedicano specificamente al rapporto personale, come lo psicologo, il volontario, il cappellano; ed è indispensabile curare il personale sanitario, perché anche il medico o l’infermiere sono persone, e come tali hanno bisogno di supporto continuo.

In un buon rapporto medico-paziente, conclude l’Arcivescovo, si può inserire la speranza, una dimensione che non risulta all’indagine diagnostica e tuttavia è incisiva nel percorso di cura. È qui che si può inserire la presenza della Chiesa, che si domanda in che modo possa essere offerta la speranza, anche a chi vede la gravità del suo male. Al di là dei credi religiosi, tuttavia, è importante che le domande ultime non siano censurate per principio nel dialogo con il malato. La condivisione con il medico della visione della vita e del suo senso ultimo, può infatti contribuire al benessere della persona; anzi può essere un elemento decisivo nella scelta condivisa del miglior percorso di cura».

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